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Microspie e notizie date ai boss, le accuse al governatore
Otto anni di carcere. Questa era la richiesta per Salvatore Cuffaro dei pm Maurizio de Lucia, Michele Prestipino e Giuseppe Pignatone. Rivelazione di notizie riservate ma soprattutto favoreggiamento aggravato a Cosa nostra i reati contestati al governatore per il quale, pure, una parte della Procura (in disaccordo con la linea dei titolari del processo) avrebbe voluto aggravare in extremis il capo di imputazione in concorso esterno in associazione mafiosa.
Un contrasto che ha prodotto l'abbandono, in corso di dibattimento, di uno dei magistrati assegnatari del fascicolo, Nino Di Matteo.
Le accuse. La sintesi delle accuse rivolte al presidente è tutta nella chiosa con la quale il procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone ha concluso in aula la requisitoria: "La condotta di Cuffaro è proprio dei giorni in cui veniva eletto presidente della Regione e faceva eleggere deputato Antonio Borzacchelli che - come dice il pentito Francesco Campanella - serviva per proteggerlo dalle indagini in corso. Una fotografia di rara nitidezza e di altrettanto rara concretezza di quel particolare fenomeno criminale che viene comunemente indicato con l'espressione "intreccio mafia-politica-affari-coperture istituzionali".
Ma ecco, uno per uno, i fatti per i quali i pm ritengono di avere inchiodato Cuffaro alle sue responsabilità.
I rapporti con Guttadauro. Innanzitutto l'episodio sul quale si gioca lo snodo fondamentale del processo: quello della "mafiosità" del presidente, del suo rapporto, mediato dall'ex assessore comunale Mimmo Miceli, con il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro. A lui, secondo l'assunto accusatorio, Cuffaro avrebbe fatto giungere la notizia, appresa dall'ex maresciallo-deputato Antonio Borzacchelli, dell'esistenza di microspie nell'attico in cui parlava di affari, nomine di primari e di candidature alle Regionali del 2001. Quella microspia piazzata dal maresciallo Giorgio Riolo e ritrovata il 15 giugno del 2001 mandò a monte una grossa indagine sulla cosca di Brancaccio ma fece in tempo a rivelare che la candidatura di Mimmo Miceli nella lista dell'Udc fu decisa proprio in quel salotto. Ne era consapevole Cuffaro? E soprattutto voleva aiutare Cosa nostra rivelando al suo amico Miceli dell'esistenza di quella microspia a casa Guttadauro?
Per la difesa non c'è alcuna prova e tantomeno lo è l'ormai famosa frase attribuita alla moglie di Guttadauro "ragiuni avìa Totò Cuffaro" registrata dalla microspia al momento del suo ritrovamento. Frase, rivelata dallo stesso Riolo, che nessuna perizia ha mai sentito compiutamente.
I rapporti con Aiello. Al suo amico imprenditore della sanità Cuffaro avrebbe rivelato l'esistenza di una indagine segretissima in corso in Procura e soprattutto il disvelamento della sua rete riservata e l'iscrizione nel registro degli indagati dei marescialli Ciuro e Riolo. Le notizie sarebbero state date nel corso di un singolare incontro tra Cuffaro e Aiello in un negozio di abbigliamento di Bagheria nel quale il governatore si sarebbe recato liquidando la scorta. Circostanze tutte ammesse persino da Aiello, ma negate da Cuffaro che ha ammesso solo di aver parlato della modifica del tariffario regionale. Manca la prova della fonte, romana o palermitana, che avrebbe girato al governatore la notizia riservatissima. Per questa accusa il presidente risponde solo di favoreggiamento semplice.
fonte ragusa news
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