telecamere nascoste per giornalisti tipo iene e annozero

È possibile per un giornalista realizzare un servizio televisivo all’insaputa del proprio interlocutore? È un po’ quello che fanno tutti: dalle “iene” ad “Anno Zero”, passando per “Exit” e compagnia. Il giornalismo “d’assalto”, definito con il termine inglese “combat” si serve spesso di strumenti non convenzionali per confezionare i suoi tele-articoli. Ora il Garante per la protezione dei dati personali ha messo uno stop all’utilizzo indiscriminato di telecamere nascoste. Anche se l’articolo in questione tratta argomenti di rilevanza pubblica, è sempre necessario avvertire l’interlocutore della presenza della telecamere, altrimenti sarebbe prevalente il diritto alla riservatezza dell’intervistato rispetto al diritto alla conoscenza ed alla pubblicazione dei terzi.

L’unico caso in cui sarebbe ammessa la telecamera nascosta, precisa l’autorità, è relativa al caso in cui il giornalista potrebbe trovarsi, altrimenti,in pericolo di vita. Questo il comunicato del Garante per illustrare due recenti provvedimenti contro gli “artifici” giornalistici ammazza-privacy.

Un giornalista non può usare "artifici" per svolgere la sua attività, e deve rendere nota la sua professione a meno che vi siano rischi per la propria incolumità o non possa, altrimenti, adempiere alla funzione informativa. É illecito, quindi, utilizzare per un servizio giornalistico brani di conversazioni ed immagini di colloqui privati ripresi con una telecamera nascosta senza che vi siano fondati motivi.

Per questo il Garante ha ordinato ad una televisione via satellite di non trasmettere più un servizio giornalistico e di cancellarlo dal proprio sito Internet. Accogliendo i ricorsi di tre imam, ai quali si erano rivolti due giornalisti fingendosi coniugi di fede musulmana alla ricerca di un consulto religioso, il Garante ha ritenuto che siano stati violati i principi sulla protezione dei dati personali e del codice deontologico in materia di giornalismo e in particolare quelli relativi all'obbligo del giornalista di rendere note le finalità di un colloquio - ossia di star raccogliendo informazioni per un servizio giornalistico - e di evitare l'uso di "artifici".

Pur sussistendo, infatti, l'interesse pubblico a conoscere le opinioni delle guide religiose di alcune delle principali moschee italiane sull'uso del velo da parte delle donne, dalla ricostruzione dei fatti è emerso che i giornalisti non hanno informato gli imam né dell'uso della telecamera, né che le loro dichiarazioni sarebbero state utilizzate per un servizio giornalistico. Non pertinenti e non essenziali all'informazione sono risultate, inoltre, le traduzioni di brani di telefonate ricevute da uno degli imam durante i colloqui e riportate nel servizio.

Non ricorreva, poi, sempre secondo l'Autorità, un'ipotesi prevista dal codice deontologico alla quale si appellava invece la società televisiva che consente al "giornalista che raccoglie notizie" di non qualificarsi solo nel caso in cui "ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l'esercizio della funzione informativa". I due giornalisti televisivi, infatti, avevano reso nota, seppure genericamente, la propria professione agli imam che li avevano comunque ammessi nei loro uffici all'interno delle moschee ed avevano continuato a fornire informazioni, anche se gli stessi le annotavano su un taccuino.

In conseguenza dell'illecita raccolta dei dati il Garante ha vietato anche ad un quotidiano l'ulteriore diffusione sul proprio sito delle informazione relative ai due imam, in particolare le loro immagini, pubblicate in un articolo in cui si anticipava la messa in onda del servizio.

fonte anti-pishing italia

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