microspie, tradimenti, pedinamenti, password come investigare su tradimento

“Pedinare è ormai di moda. Poi, se temete che vostra moglie vi tradisca, se sospettate che vostro marito torni tardi ma non dal lavoro, se volete essere certi che vostro figlio sia a scuola e non al parco, basta acquistare un minuscolo satellitare e nasconderlo nella macchina o nel motorino, lo si collega al pc, si visualizza il percorso su Google Earth e il margine di errore è di un paio di metri.” Questo passaggio potrebbe essere tranquillamente spacciato per una citazione tratta da uno dei tanti best seller americani che parlano di spionaggio o di storie legali.


Invece è preso da un articolo di costume, più che di sport, sul più popolare quotidiano sportivo italiano. Questo forse meglio di ogni altra cosa dà la misura di come quelli della privacy e della sicurezza delle informazioni individuali siano due problemi ormai vivissimi nella nostra vita quotidiana. E lo stesso argomento è stato affrontato da “Next Thing” proprio in questi giorni in due articoli, qui e, indirettamente, qui . Ma Tracce si occupa di memoria, e le storie della memoria possono raccontarci tanto anche su problemi che ci appaiono (apparentemente, scusate il gioco di parole) come figli del nostro tempo.

Già in questo post avevo affrontato il problema. Ma colgo l’occasione data dall’articolo di Pastonesi per ricondurre la memoria anche personale a cose viste o sentite sull’argomento negli anni. E riaffiora alla mente qualcosa di curioso e di divertente. Come ad esempio quando, molti anni fa, un inquilino dello stabile dove abitavo con la mia famiglia a Potenza, parlando con il portiere espresse la sua preoccupazione perché, secondo lui, qualcuno lo stava “pedalando” (forse voleva dire che lo stava pedinando in bicicletta, chissà…). O una volta in treno, quando mi capitò di avere come vicina di viaggio una ragazza che lavorava in un’agenzia investigativa (eravamo nel 2001) che mi diceva, ripetendolo più volte, “lei non sa quanti matrimoni sono stati rovinati dall’arrivo dei telefonini in casa”.

E non era ancora il tempo delle chat, luogo allora per pochi, e di tutti quei luoghi virtuali dove il tradimento o la fuga dalla vita di tutti i giorni sembrano aver trovato la loro collocazione più “sicura”. Viene in mente quando, in una chiacchierata con altri viaggiatori in uno scompartimento (viaggio tantissimo in treno, purtroppo) un signore raccontò di un suo conoscente che, lavorando in una società telefonica, era riuscito a verificare le telefonate della fidanzata e a scoprire che molte – troppe – si indirizzavano verso la stessa destinazione in orari in cui la stessa non avrebbe dovuto essere al telefono.

Cose che si sentivano in treno anni fa, mica in un convegno di agenti segreti. E che fanno guardare con meno meraviglia, ma se si vuole con ancora maggior preoccupazione, a quanto accaduto recentemente proprio nel nostro Paese. Oppure, andando verso il mondo delle professioni, viene in mente un’altra storia ascoltata in treno, quella di un professionista ricattato da un adolescente che aveva infettato il suo pc minacciandolo, se non avesse pagato, di distruggergli i dati della contabilità dei suoi clienti. Ovviamente è stato “beccato”, ma anche questo fa riflettere sul problema della privacy e della protezione dei dati che non è più solo il problema delle grandi organizzazioni.

Tempo fa una simpatica discussione a distanza tra me e Massimo Russo nacque da una frase che avevo riportato da “Profondo blu” di Jeffery Deaver e che diceva che Internet è sicura come Los Angeles Est il sabato notte. La frase era ovviamente “forte”, ma la nostra privacy ha la stessa protezione di un tempo? Questo argomento è molto complesso, ma fa venire alla mente anche come un tempo fosse lo stesso concetto di privacy o di sicurezza a non essere interpretato come facciamo noi oggi. Leggere sui giornali di un tempo fatti riservatissimi (malattie, tendenze sessuali o altro, le famose “informazioni sensibili”) era cosa normale, con tanto di nome, cognome e commento dello scrivente.

E’ sufficiente andare in un archivio e leggere un giornale dei primi del Novecento per trovare cose che oggi riterremmo inaccettabili o quantomeno “politicamente scorrette”. E se si va indietro con la memoria, ci si ricorda di cose che arrivano dal mondo del cinema e della tv che ci raccontano quanto alcune cose fossero diverse. Chi ricorda la tv in bianco e nero potrà avere “conservato” in un recesso della memoria personale una serie televisiva che aveva per protagonista il più famoso investigatore italiano, Tom Ponzi. In quella serie, che erano veri e propri telefilm, Ponzi raccontava e recitava in prima persona casi che aveva affrontato e risolto.

Con mezzi e intrusioni nella vita personale che in molti casi oggi non sarebbero più consentiti dalla legge. E sistemi per spiare non solo ce ne sono sempre stati, ma altri racconti ce ne danno una visione tra il comico e lo storico. Come Totò che ascoltando il rumore dei vecchi telefoni che avevano il disco circolare per comporre i numeri, riusciva, solo ascoltando la lunghezza del giro che il disco faceva, a capire quali numeri stesse componendo chi chiamava. O le scene bellissime di Barry Lindon di Stanley Kubrick in cui il protagonista è a colloquio con il Ministro della Polizia e ha l’incarico di spiare un cittadino irlandese in Prussia sotto mentite spoglie francesi, spiandone ogni mossa nelle vesti di suo cameriere personale.

Chi ha visto il film sa che non lo farà e si accorderà con il suo “spiato” per via del comune sangue irlandese. Ma continuava a riferire puntualmente ogni cosa accadesse in quella casa, come se fosse una microspia installata. Salvo, in questo caso, riferire cose diverse da quelle vere. E il Ministro della Polizia, come dotazione “tecnologica”, aveva una scrivania e una poltrona su cui era seduto in mezzo a una enorme stanza vuota. Sempre a cinema, godibile film sul problema della privacy (il migliore che abbia visto dal punto di vista del “racconto tecnologico”) è “Nemico pubblico” del 1998, di Tony Scott, con Will Smith e Gene Hackman, in cui si vivono le disavventure di un cittadino, un avvocato, braccato da un funzionario governativo che, dall’NSA (la National Secutity Agency americana, l’Ente americano per la sicurezza più segreto in assoluto) accede a ogni informazione della sua vita, e lo fa stando al di fuori della legge.

Si arriva così a un vecchio film della serie più famosa di Sherlock Holmes, quella con Sir Basil Rathbone, australiano nei panni del più celebre detective di ogni tempo, in cui lui e Watson, per spiare una conversazione, salgono sul tetto dell’edificio dove avviene e ascoltano attraverso il comignolo, con il camino che fa da amplificatore. Sembra impossibile, ma chi scrive ha vissuto un’esperienza simile da studente, avendo abitato in una casa dove la canna che dalla caldaia a gas conduceva all’esterno faceva ascoltare i colloqui e le liti dei vicini del piano inferiore. Infine, le mille password.

Persone che proteggono ogni cosa (telefono, pc, segreteria telefonica del cellulare e quant’altro) con password diverse e che le cambiano ogni settimana o poco più. Con il risultato di essere automaticamente oggetto di sospetti da parte dei partner. Insomma, normalità ed eccessi, storia e modernità tecnologica ci dicono che la difesa della privacy, sacrosanto diritto di ognuno di noi, è sempre stata molto difficile. E forse non ci abbiamo mai fatto caso. Quello che può spaventare, forse, è che se prima era normale che nella comunità dove si viveva tutti sapessero tutto di tutti (o poco meno…) il fatto che oggi un oscuro signore dietro un computer può sapere tutto di noi (poche settimane fa ero all’estero e chiamai per un problema il call center del mio gestore telefonico, e la ragazza mi disse candida “sì, vedo che lei è all’estero in questo momento”) ci preoccupa e ci spaventa. L’unica speranza a questo punto sono le regole. E chi le farà rispettare.

gianpierolotito

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