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Il mandante, don Ciccio Pastoia, braccio destro di Bernardo Provenzano, si suicidò in carcere tre mesi dopo. Gli esecutori materiali, Nicola Mandalà, Ezio Fontana e Damiano Rizzo, i boss rampanti della famiglia di Villabate, ieri sono stati condannati all' ergastolo. Erano stati arrestati tutti nel gennaio 2005 i responsabili dell' omicidio dell' imprenditore Salvatore Geraci, assassinato in Corso dei Mille il 5 ottobre 2004. Un omicidio "esemplare", per punire l' arroganza di un imprenditore che, scarcerato dopo una condanna per mafia, aveva deciso di tentare il grande rientro nel mondo degli appalti senza l' autorizzazione dei vertici di Cosa nostra. Quella sera, i tre sicari incaricati da Francesco Pastoia furono intercettati praticamente in diretta dagli investigatori della squadra mobile che li tenevano sotto controllo da tempo nell' ambito dell' indagine "Grande mandamento" che a gennaio del 2005 avrebbe portato a scardinare lo zoccolo duro dei favoreggiatori di Bernardo Provenzano facendogli terra bruciata attorno e aprendo la strada alla cattura del superlatitante che sarebbe avvenuta un anno e mezzo dopo a Corleone. E proprio le microspie piazzate nelle macchine dei sicari, che captarono fino a un certo punto le conversazioni preparatorie di quello che solo dopo si capì essere il delitto di Salvatore Geraci, insieme con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia della famiglia di Villabate, da Mario Cusimano a Francesco Campanella, hanno costituito l' ossatura del lavoro di indagine della squadra mobile che, a conclusione del processo, ha portato i pubblici ministeri Nino Di Matteo e Lia Sava a chiedere la condanna all' ergastolo dei tre imputati. Richiesta accolta dalla Corte d' assise presieduta da Giancarlo Trizzino. Salvatore Geraci, 48 anni, era colui che ambiva a prendere il posto di Angelo Siino all' interno di Cosa nostra, l' imprenditore che gestiva tutti gli appalti pubblici per l' organizzazione mafiosa. Arrestato e condannato per mafia era tornato libero da poco e rivoleva il suo posto. Ma a Ciccio Pastoia l' idea non piaceva affatto e decise la sua eliminazione, contando di darne notizia a Provenzano a cose fatte. Le microspie captarono questa sua conversazione con Nicola Mandalà: «Ora noialtri dobbiamo vedere cosa dobbiamo fare con questo. Io direi: non diciamo niente a nessuno, nemmeno allo zio. Poi, dopo che è fatto, gli si va a dire». Solo dopo l' omicidio gli inquirenti capirono di chi si parlava. E tre giorni dopo l' arresto nell' operazione Grande mandamento, Pastoia (probabilmente sconvolto proprio dalle intercettazioni che rendevano pubblica la sua iniziativa alle spalle di Provenzano) si tolse la vita in carcere.
fonte la repubblica

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