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ROMA - Nel primo interrogatorio aveva negato perfino di aver pronunciato le frasi registrate dalle microspie, ma dopo quaranta giorni di galera ha cambiato idea e versione dei fatti. Arcangelo Martino - uno dei tre arrestati per la presunta associazione segreta di cui sono accusati, insieme a Flavio Carboni e Pasquale Lombardi anch'essi in carcere, gli esponenti del Pdl Denis Verdini, Marcello Dell'Utri, Nicola Cosentino e Giacomo Caliendo - il 19 agosto ha fatto chiamare il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e ha parlato del suo ruolo nel «gruppo di potere occulto» ipotizzato dai magistrati. Ammettendo che effettivamente nelle riunioni a casa Verdini si discuteva del destino del Lodo Alfano alla Corte costituzionale e della causa milionaria tra la Mondadori e lo Stato; spiegando che il nome in codice «Cesare» usato nelle telefonate indicava Silvio Berlusconi e il «vice-Cesare» era Dell'Utri; svelando una confidenza sulla compravendita dei voti in Senato per far cadere il governo Prodi, nella scorsa legislatura.


«Riscontri al quadro indiziario»
Dopo l'interrogatorio, la Procura di Roma ha dato parere favorevole alla concessione degli arresti domiciliari per Martino, ma ieri il giudice delle indagini preliminari Giovanni De Donato ha respinto l'istanza dei suoi avvocati, Simone Ciotti e Giuseppe de Angelis, lasciandolo in prigione. Perché è vero, sostiene il giudice, che «sul piano indiziario le dichiarazioni rese indubbiamente riscontrano ulteriormente il grave quadro indiziario nei confronti degli indagati, ma non appaiono attenuare in modo rilevante le esigenze cautelari». Martino ha fatto un racconto «solo parzialmente veritiero», ha chiarito alcuni fatti «ma ha chiaramente eluso il proprio effettivo ruolo, affermando quasi un ruolo inconsapevole, quasi strumentalizzato cinicamente da Pasquale Lombardi». Dall'indagine emerge, al contrario, «un ruolo direttivo del Martino e del Carboni sul Lombardi».
Dopo l'annullamento da parte della Cassazione dell'ordinanza che aveva confermato l'arresto di Carboni e Lombardi (con rinvio a nuovi giudici, mentre gli indagati restano in cella) l'indagine romana riparte da questa pronuncia e dal verbale d'interrogatorio in cui Martino fornisce la propria verità. Ridimensionando il suo ruolo, ma fornendo un sostegno alle tesi dell'accusa che ora non ha più a disposizione soltanto le intercettazioni telefoniche, ma anche le parziali ammissioni di uno dei protagonisti.
L'imprenditore sardo Flavio Carboni, l'ex assessore socialista Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi mentre discutono in strada rutratti in uno scatto pubblicato da l'Espresso
L'imprenditore sardo Flavio Carboni, l'ex assessore socialista Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi mentre discutono in strada rutratti in uno scatto pubblicato da l'Espresso
Arcangelo Martino, militante della Cgil negli anni Ottanta e assessore socialista al Comune di Napoli nei primi Novanta, fino alla cattura e alla condanna per Tangentopoli, ricorda di essersi riavvicinato alla politica grazie a Marcello Dell'Utri. Tramite lui e un'altra persona ha conosciuto Carboni e Lombardi, dediti all'organizzazione di convegni con «numerosi alti magistrati». Martino, che voleva farsi conoscere con l'obiettivo di diventare senatore del Pdl, ne ha finanziati alcuni a Roma, Napoli e Milano. Dice aver versato «circa 40.000 euro» per l'appuntamento del settembre 2009 al Forte Village, in Sardegna, compreso il costo dell'aereo privato per portare e riportare da Napoli l'allora governatore della Campania Bassolino e da Milano il presidente della Lombardia Formigoni.

Lombardi «l'intrallazzatore»
Promotore dei convegni era Pasquale Lombardi, il geometra già sindaco del suo paese in Irpinia ed ex giudice tributario. Con lui Martino s'intratteneva amichevolmente al telefono più volte al giorno, ma adesso lo definisce un «intrallazzatore» affamato di soldi e favori inseguiti attraverso i suoi agganci nel mondo giudiziario. Si attribuiva il merito delle nomine dei presidenti delle corti d'appello di Milano Marra, di Salerno Marconi e di Napoli Bonaiuto, e altri ancora. Vantava buoni rapporti con alcuni esponenti del Csm dell'epoca, tra cui il vice-presidente Mancino e il «togato» Ferri, col presidente della Cassazione Carbone e col procuratore generale Esposito.
Lombardi ne parlava in continuazione, dice Martino, e un paio di volte a settimana sbarcava a Roma per le riunioni; una quasi tutti i mercoledì, al ristorante «da Tullio» dove Martino racconta di aver visto anche i giudici Martone e Gargani, il sottosegretario alla Giustizia Caliendo, il capo dell'ispettorato Miller e altre persone. A volte c'era pure il deputato Renzo Lusetti, ex Partito democratico approdato all'Udc, attraverso il quale Lombardi «cercava informazioni e possibilità di intervento anche a sinistra».
Arcangelo Martino ammette almeno tre riunioni a casa del coordinatore del Pdl Denis Verdini, in piazza dell'Ara Coeli a Roma. La prima nel settembre del 2009, subito prima del convegno di Forte Village. Lui, Carboni e Lombardi - racconta - dovettero aspettare sul portone perché Verdini era impegnato col presidente della Sardegna Cappellacci. Dopo un po' entrò Carboni, dieci minuti più tardi lui e Lombardi. Videro anche Dell'Utri. Carboni disse a Martino e Lombardi che Cappellacci era «un uomo suo», perché lui l'aveva aiutato a farlo eleggere. Poi spiegò a tutti la convenienza economica degli investimenti per l'energia eolica in Sardegna; Martino capì - riferisce ai pm - che Verdini era «direttamente interessato» all'iniziativa e Dell'Utri d'accordo ad appoggiare l'iniziativa.
La seconda riunione ci fu subito dopo il convegno sardo, preceduta da un pranzo «da Tullio» con molte persone fra cui, oltre ai soliti nomi, Martino ricorda anche Lusetti e la deputata del Pdl Nunzia Di Girolamo. Si parlò di Lodo Alfano e di Mondadori, riferisce, e Lombardi spiegò che la norma blocca-processi in favore di Silvio Berlusconi si poteva salvare nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, mentre per la causa tra da 450 milioni tra la Mondadori e lo Stato bisognava muoversi in Cassazione. Secondo Martino, verso la fine del pranzo Lombardi si allontanò dicendo che andava proprio in Cassazione per parlare col presidente Carbone e il procuratore generale Esposito; tornò poco dopo, annunciando l'ipotesi di un rinvio della causa e l'assegnazione alle Sezioni unite.
Un paio di giorni dopo, a casa di Verdini, Lombardi sostenne le stesse tesi, ma sulla Corte costituzionale fu più preciso. Secondo Martino indicò i nomi dei giudici che aveva contattato per sapere come si sarebbero espressi, e annunciò una prevedibile maggioranza a favore del Lodo Alfano, e quindi di Berlusconi. Ad ascoltare c'erano Carboni, Verdini, Dell'Utri, Miller, Martone e Caliendo. Dell'Utri si mostrò scettico, mentre Carboni era felice, al pari di Verdini.

La candidatura in Campania
In quell'occasione si discusse anche della candidatura del centrodestra alla presidenza della Campania, e Verdini annunciò che Berlusconi avrebbe deciso tra i «papabili» Caldoro, Lettieri e Miller. Solo nella terza riunione il coordinatore del Pdl annunciò, anche davanti a Miller il quale aveva comunque intenzione di rinunciare, che il premier aveva scelto Caldoro.
In quei giorni i carabinieri pedinavano gli indagati e ascoltavano le loro telefonate, in cui si faceva spesso riferimento a un non meglio precisato «Cesare» da informare, contattare, vedere e coinvolgere, e a volte a un suo «vice». Gli investigatori hanno ipotizzato che fosse un nome in codice per indicare il presidente del Consiglio, e ora Martino conferma: «Cesare» era lo pseudonimo con cui Carboni e Lombardi si riferivano a Silvio Berlusconi, e lui (che nelle conversazioni ne parla) lo sapeva; il «vice» era Marcello Dell'Utri.

La compravendita dei senatori
Nella sua deposizione Martino rivela che alla guida della Campania voleva candidarsi anche Ernesto Sica, l'assessore della Giunta Caldoro dimessosi dopo che l'inchiesta sull'associazione segreta ha svelato la sua partecipazione alle trame contro il governatore. A presentarglielo, dice, fu il giudice di Salerno Umberto Marconi. Gli spiegò che cercava appoggi per la presidenza della Regione, e Martino accettò di aiutarlo. Dopo qualche giorno Sica gli telefonò, si incontrarono in un bar, e l'aspirante candidato raccontò di essere stato un assiduo frequentatore di Berlusconi. Disse che aveva dormito più volte nella residenza romana del premier, a Palazzo Grazioli, ma poi fu allontanato per volontà del sottosegretario Bonaiuti e dell'avvocato Ghedini, che erano «gelosi».
Sica raccontò a Martino - stando alle dichiarazioni di quest'ultimo al procuratore Capaldo - di essersi dato da fare, durante la scorsa legislatura, per far cadere il governo Prodi. Un suo amico imprenditore, ben noto a Berlusconi, aveva messo a disposizione dei soldi per convincere alcuni senatori a cambiare schieramento e far cadere l'esecutivo. Martino ricorda i nomi del napoletano Giuseppe Scalera (eletto con l'Ulivo, poi passato al gruppo misto e oggi deputato del Pdl) e di Giulio Andreotti; per Scalera sostiene che Sica gli fece vedere dei fogli sui quali, diceva lui, erano annotati i versamenti bancari.
A Martino Sica parlò di presunte frequentazioni transessuali di Caldoro, ma lui che di Caldoro era amico riferì tutto al candidato. Le confidenze sulla compravendita dei senatori, invece, le raccontò a Dell'Utri. Poi seppe che Sica era stato convocato da Verdini, dal quale andò con un aereo privato, il quale gli promise un incarico; in seguito Verdini disse a Martino che Berlusconi aveva fatto nominare Sica assessore nella Giunta di Caldoro.
Queste dichiarazioni di Martino, secondo il giudice che l'ha fatto arrestare, sono «solo parzialmente veritiere e in parte palesemente elusive, e quindi non dimostrano una chiara volontà di rompere radicalmente i rapporti con l'ambiente in cui appaiono maturate le condotte delittuose». Per questo, contro il parere dell Procura, l'indagato che ha cominciato a collaborare coi pubblici ministeri resta in carcere.
fonte corriere.it

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