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Tanto rumore per nulla. Anzi: tanto clamore per non fare nulla. Poco meno di due anni fa – qualcuno forse se ne ricorderà – esplose un allarme sulle possibilità di trasformare un cellulare in uno strumento di spionaggio e intercettazione, che si guadagnò l’attenzione di molti media. Ci fu anche un intervento istituzionale, con tanto di formulazione ufficiale di buone intenzioni per arginarlo. Ma, com’era ovvio fin d’allora, non se ne fece nulla. Perché poco o nulla si può fare, e per vari motivi.
Perché tornare a parlare di un argomento sul quale le effimere luci della ribalta si sono spente da tempo? Perché, nonostante tante belle parole, il problema esiste ancora, benché pochi lo conoscano: per rendersene conto è sufficiente imbattersi in un banner pubblicitario come quello qui riprodotto, che fa parte del novero delle inserzioni proposte di Google AdWords ed è comparso anche in un articolo dedicato all’argomento proprio da The New Blog Times circa tre mesi fa (e per la medesima dinamica potrebbe apparire anche in questa pagina).
Il banner pubblicitario di un'applicazione che trasforma un cellulare in una "cimice" evoluta, contestualizzato in un articolo a tema (click per ingrandire)
Questo tipo di soluzioni – benché proposto con uno stile vicino alle inserzioni che negli anni settanta pubblicizzavano gli occhiali a raggi x – esistono realmente e consentono di carpire informazioni riservate dal cellulare su cui sono installate: testi degli SMS, agenda, rubrica, posizionamento. Permettono persino di intercettare le conversazioni telefoniche.
Rispetto a qualche anno fa, la tecnologia in questo campo ha compiuto passi da gigante. Ora buona parte degli smartphone in circolazione è dotata di un sistema operativo avanzato ed è quindi potenzialmente vulnerabile a questo tipo di rischio. Ma affinché si concretizzi veramente è comunque necessario che qualcuno installi materialmente sul cellulare un’applicazione-spia, dando l’ok all’installazione che solitamente viene richiesto dal sistema operativo dell’apparecchio, e questo vincolo rende difficile il verificarsi di una minaccia di massa, come si diceva un paio di anni fa.
Ciò nonostante, l’allora presidente del COPASIR Francesco Rutelli si pronunciò formalmente dichiarando l’intento di “intervenire rapidamente mettendo nuove regole”. Quando si mette in moto la macchina del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica non si scherza, c’è da stare attenti. Quali nuove regole furono introdotte in proposito? Nessuna. Forse perché non necessarie.
Sull’aspetto della liceità dell’utilizzo di questi prodotti non serve dilungarsi più di tanto: laddove si entri in una sfera privata senza che l’interessato ne sia a conoscenza (e questo è il caso di un utente che subisce a propria insaputa l’installazione di questo tipo di applicazioni sul proprio smartphone), se non esiste l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria si viola la sua privacy, con tutto ciò che doverosamente ne consegue.
A distanza di due anni da quell’allarme generale che scosse i media non è cambiato praticamente niente: le applicazioni esistono, vengono tranquillamente reclamizzate e vendute (preferibilmente da organizzazioni non italiane, ché non si sa mai), con buona pace delle istituzioni il cui compito è di favorire l’applicazione di leggi già vigenti.
Tuttavia si fa più strada una consapevolezza: la sicurezza e la privacy sono valori sempre più preziosi e più difficili da tutelare. L’evoluzione tecnologica ha messo gli smartphone sullo stesso piano dei computer, condividendone potenzialità e vulnerabilità e questo implica maggior attenzione da parte degli utenti. Ma non è trascurabile constatare quanto aumenti la frequenza di segnalazioni riguardanti episodi di intercettazioni sulla telefonia GSM e quanto queste possano essere considerate un sintomo dell’obsolescenza di questa tecnologia di comunicazione mobile.
fonte nbtimes.it

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