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Intercettazioni, microfoni direzionali per Ruby e Berlusconi

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Dopo i fatti di sangue di Cogne, Avetrana e la scomparsa della giovane Iara le prime pagine dei giornali e i talk show sono monopolizzati da un’altra emergenza mediatica, il caso Ruby. La storia si ripete ma la volta successiva passa dalla tragedia alla farsa; in questo caso lo fa anche la cronaca, perché nelle tre vicende ricordate alla base della sovraesposizione c’era un fatto drammatico, a danno sempre di minori, omicidio nei primi due, sparizione nel terzo. Qui la farsa inizia dalla “minore” protagonista, vicina ai canonici 18 anni al momento del “delitto”, per di più molto vissuti.
Il codice e la minore età, la Costituzione e la competenza del giudice
Non dà certo un’immagine di bisognosa di quella protezione che il codice accorda a un’età in cui si presume si sia ingenui e indifesi; peraltro ci hanno sempre parlato della precocità delle donne di quei paesi, tanto che la madre della suddetta risulta essersi sposata a undici anni. La farsa prosegue con il “delitto” che viene imputato in termini giuridici e quello più grave in termini morali; una farsa a cui corrispondono toni apocalittici e visi accigliati, anzi con il sopracciglio del supercensore.
Sul piano giuridico la farsa inizia nel balletto del giudice naturale: il Tribunale di Milano secondo l’accusa, quello di Monza o il Tribunale dei Ministri secondo la difesa. Monza perché è il luogo del “delitto” per la difesa e Arcore è in quell’ambito; Milano per l’accusa perché nella presunta “concussione” il luogo del “delitto” è Milano e assorbirebbe la competenza di Monza; né ci sarebbe competenza del Tribunale dei Ministri perché la famigerata telefonata con cui si sarebbe consumato il reato sarebbe stata fatta “nella qualità” e non “nelle funzioni” di Presidente del Consiglio.
Lana caprina o mera semantica, si direbbe, può mutare competenza la “qualità” invece delle “funzioni”? E poi un magistrato è sempre magistrato dovunque esso operi, o no? Però il diritto sancito dalla Costituzione al proprio “giudice naturale” non è un fatto solo ordinatorio, bensì serve ad evitare la persecuzione giudiziaria, fatto umano pur se escluso dalla deontologia. Infatti, cosa porterebbe un giudice “non naturale” a perseguire un cittadino, se non lo spirito di persecuzione?
C’è tanto arretrato, all’inaugurazione dell’anno giudiziario è stato fatto il numero di milioni di cause penali, che portano alla prescrizione, quindi all’impunità, oltre 200 mila processi l’anno, il 95% dei furti non perseguiti, così il 50% degli omicidi. Non sarebbe l’inattività a far debordare i magistrati dalla loro competenza, ma altro, il che rende oggi oltremodo necessaria tale garanzia costituzionale.
I benpensanti e il clima imperante, da “veline” e “letterine” a Sanremo
Ma lasciamo stare il lato giudiziario sul quale c’è questo primo macigno da rimuovere, e andiamo sul terreno morale dove si sono accaniti i benpensanti, incitando la Chiesa a dire la sua: proprio quelli che hanno fatto a gara nel denunciare l’inammissibilità di ogni sua ingerenza nella politica, finché il severo fondo dell’“Avvenire”, il giornale dei Vescovi, li ha soddisfatti; e così la giacca tirata al Presidente della Repubblica che alla fine è intervenuto chiedendo di fare presto chiarezza.
Finiscono qui le cose serie, torniamo alla farsa che però a sua volta rischia di trasformarsi in tragedia. “Dobbiamo vergognarci di fronte al mondo” e “il mondo si vergogna di noi”, ha detto pressappoco Bersani, il leader del maggiore partito di opposizione. Ed è senza dubbio vero. Come è comprensibile l’ondata di riprovazione diffusasi, insieme a un “voyeurismo” di antica data. Chi appartiene alla nostra generazione ricorderà il caso Montesi, non c’erano i talk show, ma parecchie pagine dei giornali ne furono monopolizzate per mesi e il “voyeurismo” si scatenò anche lì, con l’evocazione delle “notti brave”, ma allora erano in ballo i democristiani timorati di Dio: era il clima nel quale lo Scalfaro poi presidente schiaffeggiò in pubblico una signora – non “escort” ma moglie di un colonnello – per le sue spalle scoperte, spinto da un’indignazione irrefrenabile.
Oggi non c’è più quel clima, le “veline” e le “letterine” sono diventate gli oggetti del desiderio degli italiani, concupite da persone sole e in astinenza, ma anche sposate da attori e calciatori famosi. La stessa Rai servizio pubblico ha provato con le “schedine”, nella trasmissione domenicale in contemporanea con le partite, per non parlare delle presenze conturbanti diffuse a piene mani. Per l’imminente Sanremo la Rai non ha scelto delle sperimentate intrattenitrici ma due che appartengono al mondo effimero per cui c’è riprovazione. La prima ex “velina” ma compagna dell’attore famoso; la seconda confessa di aver provato gli stupefacenti, “peccato” per il quale ebbe l’ostracismo con ignominia nel precedente Sanremo l’artista Morgan di ben altro spessore, per di più viene dalla “scuderia” del reietto Lele Mora, a noi non è piaciuto neanche prima, non solo ora.
L’indignazione a orologeria e l’intelligenza di Renzo Arbore
E allora la farsa dell’indignazione pubblica a orologeria di questi giorni, con il sopracciglio dei politici trasformati in Inquisitori lascia allibiti, è come se venissero da Marte e non partecipassero anche loro al Circo Barnum televisivo, comprese le scosciate star e starlette promosse a opinioniste. Il clima da “basso impero” che viene lamentato è generale e non lo si scopre adesso, sempre che lo si ritenga tale e il giudizio non risenta di un moralismo opportunistico: ed è un clima indubbiamente introdotto o favorito dalla televisione commerciale, ma al quale la Rai si è accodata ben volentieri.
Ricordiamo che l’intelligenza di Renzo Arbore lo portò a popolare le sue trasmissioni cult in seconda serata delle colleghe e in parte antesignane di “veline” e “letterine”, con la coda e l’impagliata del “balletto coccodè”, e l’ammiccante balletto del “Cacao Meravigliao”; ma non solo, in “Tagli, ritagli e frattaglie”, se non erriamo – e in questo caso chiediamo venia in anticipo – una prosperosa Lori del Santo veniva inquadrata dal retro appoggiata a un bancone basso con il “lato B” che data la posizione quasi prona appariva in bell’evidenza. Satira di un andazzo della Tv commerciale e ironia, nelle corde dell’intelligenza di Arbore. Ma con un effetto di “voyeurismo”.
L’inventore di questa televisione ha un nome preciso, è alla ribalta in queste ore: non come antesignano di un genere discutibile quanto si voglia, ma sempre forma di spettacolo ammesso sugli schermi che entrano in ogni famiglia, per di più con la gratuità della Tv generalista; bensì come sfruttatore della prostituzione anche minorile e organizzatore di un mercimonio dei corpi. E questo non perché abbia dato scandalo pubblico andando oltre i limiti ammessi anche in Tv, per entrare nel territorio proibito della pornografia: nulla di pubblico o esterno, visibile o noto, riprovevole o meno.
Tutto nel chiuso della propria residenza: nei “festini” disinvoltamente descritti come orge di un insaziabile malato del sesso; in una telefonata per la comica vicenda della “nipote di Mubarak”.
Le “vite degli altri” messe in piazza in una mobilitazione sproporzionata
E allora perché dobbiamo vergognarci di fronte al mondo e il mondo deve vergognarsi di noi, e questo può essere senz’altro vero? Chi ha diffuso immagini non viste dal buco della serratura – che sarebbe stato già grave, però avrebbe avuto il pregio dell’autenticità e della certezza – ma ricostruite sulla base di sovreccitati racconti trasversali e fatti passare per cronache da “dieci giornate di Sodoma”? La vergogna nasce dal quadro che è stato diffuso, non dai fatti che si pretende di svelare.
Il “foro interno” e il “foro esterno” in cui la chiesa distingue gli atteggiamenti, interiori o “coram populo”, assume qui aspetti da “pochade”, è vero; ma quando l’onorabilità del paese è minacciata c’è poco da scherzare. Si dirà del diritto all’informazione che è sacrosanto; infatti non critichiamo i giornalisti che fanno il loro lavoro con le paginate di intercettazioni, oltretutto fanno vendere più copie sia per “voyeurismo” sia perché è sempre piaciuto fare il “pollice verso” , sin dal Colosseo. Critichiamo chi ha alimentato un “foro esterno” devastante, non dal foro della serratura ma con una strumentazione investigativa che dovrebbe lasciare perplessi anche gli antiberlusconiani accaniti.
Non ci riferiamo tanto ai cento uomini mobilitati nelle perquisizioni all’alba non di pericolosi terroristi, ma di “starlette” e magari “escort”, a diecine, per acquisire chissà quali preziosi “reperti”, forse la “veste macchiata” che fu la “pistola fumante” nel caso di Clinton; quanto all’apparato investigativo che per un anno ha “accerchiato” la villa di Arcore intercettando i visitatori, pardon, le visitatrici; si è parlato di cento controllate. Con microfoni direzionali per l’esterno, e per l’interno – non potendo fare rilevazioni – con le intercettazioni telefoniche alla pletora di donnine più o meno allegre e agli omini – diminutivo o dispregiativo secondo i gusti – che le organizzavano.
Risultato: una montagna di conversazioni telefoniche tra tali soggetti diligentemente trascritte per oltre seicento pagine, di cui circa trecentottanta allegate all’atto di accusa e quindi rese pubbliche: le “vite degli altri” messe in piazza come neppure la Stasi; che le custodiva negli archivi. Vorremmo conoscere risorse impiegate e costi, e fare una valutazione costi-benefici limitando questi ultimi a quelli giudiziari senza considerare quelli politici che non andrebbero ammessi come tali; e valutare i possibili impieghi alternativi per la lotta alla delinquenza e per lo smaltimento dell’arretrato. L’obbligatorietà dell’azione penale non escludeva di certo una valutazione“a priori” di questo tipo.
Da dove viene il discredito e la vergogna
Consideriamo quest’operazione giudiziaria. Se occorreva allegare i mezzi di prova, averli diluiti in 380 pagine vuol dire che non c’è una vera prova ma si intende rappresentare un clima. E questo non considerando che sarebbero divenute di pubblico dominio portando il discredito al Paese che Bersani e tanti altri giustamente lamentano. Non nasce dunque da questa incomprensibile operazione tale discredito? Se qualcuno riprende un amplesso in un luogo chiuso, poi lo pubblica nei suoi particolari in prima pagina, si può accusare di oscenità il protagonista dell’amplesso, o chi diffonde l’immagine che il soggetto invece aveva tenuto rigorosamente nascosta nella sua casa?
Ancora ci chiediamo e chiediamo quale legittimazione abbia la vagonata di fango di quelle 380 pagine date in pasto alla stampa; e se la magistratura non deve valutare gli effetti delle sue operazioni la politica può farlo, con il dovuto rispetto per le istituzioni, tutte e non solo alcune. Non si possono dare responsabilità per lo scandalo internazionale a chi, comunque, si è guardato bene dal far trapelare tali notizie, rese pubbliche invece non attraverso una rappresentazione dei fatti ma con le affabulazioni sovreccitate e deliranti che hanno fatto degenerare in pornografia conclamata. Con l’ulteriore riflesso di mettere in piazza conversazioni confidenziali di persone non indagate.
Ma perché tale degenerazione? Perché le “fonti” utilizzate – riverite come l’Erodoto delle antiche battaglie – sono le più improbabili corrispondenti di “guerra”: ascoltate nei loro colloqui telefonici dove “voyeurismo” e protagonismo, ignoranza e superficialità si mescolano a invidie e delusioni o quant’altro. Si potrebbe dire che proprio per questo le 380 pagine, fior da fiore delle presunte 600 complessive, vengono offerte alla valutazione di chi riuscirà a separare il grano dal loglio; ma si poteva immaginare che non sarebbe stato così, l’informazione fa titoli ad effetto di poche parole, il “voyeurismo” gode dei particolari più piccanti, senza interrogarsi sulla veridicità; e neppure sulla qualità dei protagonisti di uno spettacolo che diviene degradante per il modo con cui è presentato.
La villa di Arcore e il “Drive in 2010”
E’ questo l’aspetto che ci interessa considerare maggiormente, alla ricerca di una spiegazione di qualcosa che appare altrimenti incredibile. Si è scomodata la storia antica citando Nerone, ma stiamo a quella contemporanea con Gheddafi, che sembra l’ispiratore del famigerato “bunga bunga”, e questo può essere un punto di partenza. Ma soltanto quale omaggio al leader di un paese importante per l’Italia, come lo è la Russia del “lettone di Putin”. Perché secondo noi, al di là della denominazione delle serate, l’ispirazione è ben diversa dalla riproduzione di un harem africano, e non perché la villa di Arcore non è una tenda nel deserto anche se il leader libico può aver influito.
Ed è proprio per questo che abbiamo parlato di spettacolo, equivocato come realtà dalle stesse protagoniste, e non poteva essere altrimenti data la loro età e qualificazione professionale e umana. Uno spettacolo che il tycoon televisivo si fa organizzare nei fine settimana in cui cerca serate “rilassanti”, come ha detto, dopo impegni di governo che lo assorbono e lo stressano totalmente negli altri giorni della settimana, tra Palazzo Chigi e gli impegni internazionali, nei quali non si può dire non sia partecipe attivo rivelando energia e vitalità.. Mentre dalle cronache sembrerebbe che l’orgia da “dieci giornate di Sodoma” ad Arcore sia l’occupazione permanente del premier.
Una precisazione va fatta per la rispondenza alla realtà, premettendo che anche una sola orgia – nei termini che si vuol far credere con l’equivoco contenuto delle intercettazioni – sarebbe esecrabile e meritevole non solo di riprovazione, ma della più assoluta condanna; però pur sempre con il distinguo, di valore e importanza dirimente, su come e da chi sarebbe stata resa pubblica svolgendosi nel chiuso di una villa definita con disinvoltura dimora del sultano con il vicino harem.
Ad Arcore, da cronache passate se non ricordiamo male, risulterebbe esservi una sala attrezzata a discoteca e lì si sarebbero svolte le presunte “orge” da “basso impero” denunciate dalla procura e “raccontate” negli ammiccamenti telefonici tra starlette, “escort” e aspiranti “veline”. Chi ricorda “Drive in” non ha dimenticato la procacità delle starlette “fast food” che esibivano un seno “quarta misura” debordante anche se non esibito integralmente. C’erano scenette e barzellette in quantità, da Gianfranco d’Angelo a Ezio Greggio, da Erico Beruschi a Carlo Pistarino, da Francesco Salvi all’attuale scrittore di successo Giorgio Faletti. Si vedevano travestimenti che lasciavano scoperta l’epidermide di finte infermiere e poliziotte; canzoni e imitazioni, situazioni esilaranti e grottesche portate al limite. Ebbene, nei racconti tratti dalle intercettazioni abbiamo ritrovato una parte di quel clima e di quei “quadri”, di quelle figure e di quella crassa comicità, di quelle starlette e di quelle performance: in definitiva quel misto tra il disinibito, il cattivo gusto e il rivoluzionario.
Tanto rivoluzionario che la produzione non approvò il “numero zero” e decise di non farne nulla. Intervenne il Presidente, a cui i comici erano riusciti a far visionare una cassetta, ne capì la presa e la carica innovativa, e dispose per l’andata in onda la settimana successiva. Il Presidente era proprio il personaggio di cui parliamo, il tycoon divenuto premier e ora inquisito, anzi messo in croce.
Deprecabile, direbbe qualcuno, certo non tutti e forse neppure tanti se viene ricordata come trasmissione “cult” e non come degrado e degenerazione; e se il personaggio che si identifica da sempre in tutto questo continua ad avere tanti suffragi che lo hanno fatto prevalere nella gran parte delle elezioni degli ultimi 15 anni, vuol dire che il suo modo di essere non suscita riprovazione.
E allora, perché non pensare che il tycoon divenuto parlamentare e primo ministro, dopo quasi vent’anni di ininterrotta leadeship politica e di instancabile attività di governo – con la “traversata nel deserto” di lunghi anni all’apposizione – abbia voluto improntare le serate “rilassanti” di cui ha bisogno a quella creazione televisiva di Antonio Ricci che però sente sua per averla “salvata” dalla bocciatura portandola così al trionfo? E abbia voluto far rivivere in qualche misura un clima fatto di barzellette e travestimenti, per i quali non ricordiamo proteste delle categorie come quelle di questi giorni, sebbene il presunto dileggio fosse pubblico mentre ora è stato all’interno di una residenza?
Teatri casalinghi e serate musicali, lo spogliarello di Aichè Nanà al “Rugantino”
La messa in scena di Arcore è ben diversa, opposta rispetto al teatro nella casa all’Aventino di Gassman e al “quartetto del Vittoriale” che allietava le serate di D’Annunzio, nelle quali peraltro qualche bella ospite si “fermava” per la notte e al mattino trovava dei bei regali. Ma ognuno fa rivivere nella propria casa le situazioni predilette, quelle di “Drive in” sembrano esserlo per il tycoon suo “salvatore”. Il passaggio dagli schermi nelle case, in orario da visione familiare, al chiuso di una sala-discoteca in una villa immersa nel verde nel circondario di Monza ha fatto cadere i reggiseno già coprenti ben poco nella trasmissione e le barzellette possono aver forzato le tinte; ma di qui alle vere orge che si lasciano intravedere e alla qualifica che termina in “aio” ce ne passa.
Anche l’indignazione per lo spogliarello di Aichè Nanà nel locale “Rugantino” di Roma – e non ci riferiamo allo spettacolo attualmente al “Sistina” con Enrico Brignano - che già allora scatenò un puritanesimo da inquisizione, nasceva dal luogo pubblico in cui avvenne l’esibizione della spogliarellista turca con gli astanti entusiasti nel mettere le proprie giacche come tappeto per accoglierne le morbide forme. Neppure questo è avvenuto, il “Rugantino” di Arcore non è un luogo pubblico né lo “spettacolo” è stato pubblicizzato dai protagonisti ma da altri. Ed era l’epoca in cui per vedere “il primo seno nudo di donna bianca” al cinema ci volle “L’uomo dal banco dei pegni” con le immagini delle ebree spogliate nel lager, sappiamo cos’è successo poi al cinema e in Tv.
Un lavoro d’indagine ciclopico con il rischio sopravvenuto di ricatti
Purtroppo l’operazione mediatica – largamente distorsiva per quanto finora noto – è stata possibile per il lavoro d’indagine ciclopico, degno di miglior causa, della procura, se si pensa all’ascolto e trascrizione per un anno e alle verifiche sulle celle telefoniche delle posizioni dei telefonini delle starlette per accertarne i movimenti e gli spostamenti “day by day” e farne un’incredibile agenda da “catalogo” del Don Giovanni. Non solo, ma l’operazione ha comportato sequestri in massa di valanghe di computer e di quant’altro rastrellato nelle moltissime abitazioni perquisite nella retata!
Potrà suscitare divertimento a qualche moralista, sembrerà una punizione anche meritata in ossequio alla morale puritana violata dai festini di Arcore; rispettiamo i giudizi, nei fatti è stata una operazione quasi di controspionaggio per la sicurezza nazionale contro lo Spectre; mentre è proprio la distorta divulgazione a minacciare la sicurezza dando nuovi motivi alla speculazione finanziaria.
Non solo, ma si è scatenata l’orgia, ora sì, di possibili ricatti da parte delle “intercettate” le cui parole disinibite ed equivoche al telefono vengono prese per oro colato, figurarsi presunte rivelazioni di convenienza. Ricordiamo i dieci pentiti che accusarono ignobilmente Enzo Tortora anche per i benefici che questo dava loro, siamo su un terreno scivoloso in cui ci si può impantanare. E non si può dire che è colpa di chi si è messo in questa situazione: Non ha mai nascosto, anche nei consessi internazionali, atteggiamento disinibiti, la sua predilezione per le belle donne è proverbiale e ostentata, lo sono anche certi eccessi spettacolari fatti per stupire gli ospiti; tutti ricordano il vulcano che erutta a Villa Certosa.
Per questo non sarebbero nulla le esibizioni e anche gli eccessi del “Drive in 2010”, se la magistratura non ci mettesse il carico da undici del reato penale infamante: fa diventare ricattabile ciò che prima non lo era, basta un’invenzione presa – lo ripetiamo – per oro colato come le intercettazioni – per affossare lui e il governo, con gli effetti negativi per il paese da tutti paventati. Né dimentichiamo la “protezione” della minorenne di 17 anni e mezzo di cui tutti hanno visto e giudicato la “fragilità” e l’“innocenza”, per “salvaguardare” la quale si cono mobilitati mezzi da film di James Bond che servivano a scongiurare minacce inenarrabili di perfidi nemici dell’umanità.
I pagamenti sono sempre mercimonio?
I particolari “piccanti” delle telefonate non mutano la valutazione dello spettacolo organizzato nella discoteca privata di Arcore; basta l’evocazione di “Drive in”. Si spiegano anche gli appartamenti con parcheggiate le starlette, la “compagnia stabile” di questi spettacoli andava sistemata per essere mobilitata all’occorrenza; si spiegano i ruoli al procacciatore di starlette e all’addetta ad occuparsi in qualche modo di loro – ahimè eletta nel “listino” della regione Lombardia – gli stessi compensi nelle “buste”. Tutto appare in linea con l’organizzazione del “Drive in 2010” pur se di gusto discutibile, ma non degradato a un’orgia definita collettiva nei soggetti femminili ma incentrata su una sola persona, ovviamente il presunto Sultano, senza rendersi conto della contraddizione.
E poi, non sono pagati gli ospiti delle trasmissioni televisive, anche starlette non molto diverse da quelle incriminate? E gli stessi “figuranti” dei programmi con il pubblico in studio, cioè quelli che non fanno nulla, assistono e magari straparlano o applaudono a comando? Se a loro va un legittimo compenso, non può andare a chi partecipa a un “Drive in” riveduto e corretto nei termini di una visione privata non ostentata? Il fatto che vi fosse un “ufficiale pagatore” addetto alla bisogna non prova in alcun modo l’improbabile harem personale, può confermare invece la “compagnia stabile”. E se inopportunità e scorrettezze possono rilevarsi, vanno a carico di “cortigiani” non all’altezza.
Il livello certo era basso, ma che l’entourage del premier non sia di prima qualità è ben noto; e come poteva mancare il procuratore delle starlette Tv , fino alla precedente inchiesta giudiziaria da tutti riverito, e comunque depositario delle prestazioni professionali – sedicenti di immagine e spettacolo – di quelle della sua “scuderia”? Tale livello si manifesta nelle intercettazioni, cosa che serve anche a scagionare: è emersa l’attesa spasmodica della serata successiva, ma com’era per le comparse a Cinecittà, non attendevano di essere chiamate di nuovo per guadagnare? Lo sparlare del “benefattore” per la cupidigia di avere di più non esclude alcuni caratteri che nella ricostruzione di “orge” da “basso impero” sono incentrati sulla condiscendenza del “Sultano” ad ogni richiesta e la totale sottomissione delle ospiti dell’harem in attesa di essere proclamate come le favorite?
Si è detto di qualche sexy-struscio con il il tycoon-presidente di ammiccanti e disponibili starlette, ma non avviene lo stesso nei locali con spettacoli di spogliarello e con il rito delle banconote nella giarrettiera? Nel revival di “Drive in” non ci stupirebbe ci fosse anche questo, né scandalizzerebbe.
Con disponibilità economiche come le sue le banconote in euro hanno tre zeri, equivalenti, per una persona normale che a mala pena sbarca il lunario, a qualche monetina. Molto squallido tutto ciò, diranno i benpensanti, e non ci sentiamo di contraddirli, ma la logica del denaro purtroppo è questa, pensiamo ai calciatori, e chissà cosa si troverebbe in altre pur rispettabili categorie! Il riferimento ad altri più meritevoli destinatari di elargizioni assistenziali viene contraddetto dai generosi contributi con un numero di zeri ben più alto dati a organizzazioni caritatevoli e anche dall’aiuto a tanti bisognosi. Se si entra nel clima, nel “revival” di “Drive in” in chiave moderna, tutto si tiene.
Un reato? Un peccato? Entrambi o nulla di tutto ciò?
Tutto trova una spiegazione nel “Drive in”, anche l’altrimenti incomprensibile comportamento di un presidente del Consiglio che per i suoi vizi privati farebbe altrimenti, come Kennedy e Clinton, sfogandoli nel chiuso di una stanza e non ponendoli sotto i riflettori, sia pure esclusivi, di una discoteca anche se domestica ma con tanti ospiti. O per pagare le eventuali “escort” che dovevano alleviare – non illegittimamente – la sua solitudine di single stressato, aveva bisogno del contorno orgiastico che viene delineato? Il “voyeurismo” patologico è privato, non pubblico, lo ricorda la tragica storia della Casati Stampa prima proprietaria della stessa villa di Arcore. Mentre pubblica è la voglia di spettacolo di un tycoon televisivo che intendesse rinverdire i fasti della sua disinibita televisione, per scrollarsi di dosso le angosce della politica e le gravose cure di governo.
E’ un reato? E’ un peccato? Sono entrambi o non è nulla di tutto ciò? Ognuno potrà dare la sua risposta, ci auguriamo che lo faccia spogliandosi delle contrapposte posizioni di berlusconismo e antiberlusconismo; nonché di un insincero moralismo estraneo al clima e al mondo d’oggi.
Noi abbiamo cercato di farlo, ragionando sui fatti. Se non ci siamo riusciti assicuriamo di averci provato. L’occhio della cultura non può essere partigiano. Ci auguriamo sia così per tutti.
fonte abruzzocultura.it

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