Legge 104 militari forze dell'ordine sentenza Cassazione

Con decisione 4047/12 , pubblicata il 9 luglio scorso, il Consiglio di Stato è ritornato sui suoi passi ed ha riconosciuto che la disciplina comune in materia di assistenza ai familiari disabili trova applicazione «anche per il personale delle Forze Armate, Carabinieri,  Polizia ed ai Vigili del Fuoco».
Si tratta di una vera propria inversione ad U del supremo giudice amministrativo che, fino ad ora, aveva invece ritenuto inapplicabili agli operatori del comparto sicurezza e difesa le modifiche apportate dalla legge 183/2010 (collegato lavoro) alla legge n. 104/1992. Tale interpretazione aveva indotto militari, forze dell'ordine ed associazioni di disabili a protestare, lo scorso 17 aprile, davanti a Palazzo Spada e ad urlare lo slogan "non siamo cittadini di serie B".

A seguito di questo revirement giurisprudenziale, il Consiglio di Stato ha finalmente chiarito che l'art. 24 della legge n. 183/2010 ha sostituito il comma 3 (Permessi mensili retribuiti per Forze Armate, Carabinieri,  Polizia ed ai Vigili del Fuoco) ed il comma 5 (scelta della sede per Forze Armate, Carabinieri,  Polizia ed ai Vigili del Fuoco) della legge n. 104/1992, eliminando i requisiti della cd. continuità ed esclusività nell'assistenza quali necessari presupposti del beneficio e che tale innovazione è immediatamente applicabile anche ai cittadini in uniforme.

«E' una vittoria del principio per Forze Armate, Carabinieri,  Polizia ed ai Vigili del Fuoco non sono cittadini di serie B – afferma l'avvocato Giorgio Carta[/B] che ha curato il ricorso e che aveva organizzato la protesta davanti al Consiglio di Stato – La vittoria è importante anche perché dimostra che i cittadini in uniforme non devono accettare passivamente i soprusi cui sono sottoposti dai propri superiori, ma organizzarsi e consorziarsi per far valere i loro diritti. Il miglioramento delle loro condizioni di lavoro, cioè, dipende in gran parte dalla loro determinazione a farsi rispettare e la specificità non può mai costituire un pretesto – per superiori o giudici – per restringere i loro diritti»
fonte giustizia-amministrativa 

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